Radiofreccia e noir mediterraneo

Cosa c’entrano questi due argomenti insieme? Poco.
Come il mio Taccuino di una sbronza col noir del resto anche sono in partenza per Sassari perché domani sera c’è la finale del premio noir mediterraneo dove sono in finale wow!
Vedremo come andrà.

Nel frattempo vi parlerò di Radiofreccia, uno dei miei film preferiti sul quale ho scritto un pezzo pubblicato proprio questa settimana sul settimanale FilmTV uno delle principali riviste del settore.

Il mio pezzo correda la locandina del film che potete staccare e attaccarvi in camera 😉

Ecco il pezzo.

Radiofreccia è un cosmo, uno spaccato seventies della provincia emiliana che, però, potrebbe rappresentare un qualsiasi borgo rurale italiano di quegli anni. E’ il racconto della vita di un gruppo di ragazzi (Bruno, Jena, Tito, Boris e, sopratutto, Freccia)  che nel 1975 decidono di fondare Radio Raptus, una radio libera. Intorno a questo progetto si snodano una serie di avvenimenti, piccole storie che si incastrano le une con le altre fino a fondersi. Sullo sfondo, placida e lenta, lei, la Bassa, valorizzata da una splendida fotografia.
Un film che ricorda Fellini e Zavattini, l’Emilia e la Romagna insieme, molto evocativo, in cui si mette in scena la vita quotidiana di un borgo della Bassa, col suo dialetto e le sue espressioni tipiche, raccontata in tutte le sue declinazioni: il pranzo di nozze col cameriere scorbutico (impersonato ad un grande Vito); il microcosmo degli originali del bar (da Virus che si mangia le lampadine per scommessa, a Kingo “che si veste da Kingo è Elvis che mi copia”, a Bonanza con le sue tragicomiche sfide all’OK Corral, all’avventore che cerca di venderti i “gratta e tromba”); il Plutonio, la discoteca dove tutti si (ri)trovano, unico centro focale del divertimento di quei paesi, che a me ha sempre ricordato il Tempo di Gualtieri (dove infatti sono girate moltissime scene). E ancora: il grande fiume, il Po e la pesca al siluro, l’argine e i pioppi, Tito in sella alla Lambretta, Freccia col Maggiolone, e poi lui Adolfo, il burbero barista. Ecco: l’immagine di Francesco Guccini (Adolfo appunto) nei panni di barista e allenatore di calcio per me è un motivo più che sufficiente per amare questa pellicola incondizionatamente.
Tutto azzeccato insomma, come la scena del funerale con la banda che suona, una situazione tanto tipica da queste parti che pure il sottoscritto l’ha saccheggiata per riprenderla in un suo romanzo…
Ligabue, qui alla sua prima prova come regista, non si è limitato a raccontare solo una storia, ma decine; ha descritto uno spaccato sociale, ci ha fatto respirare un’atmosfera, il profumo dei fossi tanto per citare una sua canzone. Ha creato dei personaggi veri, non macchiette (in ogni compagnia c’è uno cinico come Boris, uno sfigato come Jena, un figo come Freccia, un idealista come Bruno) al punto che ti sembra di averli incrociati decine di volte nel bar dove trascorrevi le lente e sonnolente estati della Bassa…
Se dovessi racchiudere il film in una frase, una battuta che lo sintetizzasse, sceglierei questa: “Te sta’ dentro che qua fuori è un brutto mondo”. La dice Freccia rivolto ad una signora affacciata alla finestra che lo sorprende a rubare la lana di vetro per la radio.  La donna non ribatte e chiude la finestra. Ognuno interpreta quel gesto come vuole: io credo abbia a che fare con le difficoltà del vivere quotidiano, la paura di affrontare i nostri problemi. Radiofreccia, infatti, è sopratutto un film sull’amicizia; sui nostri amici di un tempo, il nostro come eravamo quando, girovagando in auto nella nebbia, ci sentivamo un po’ zingari d’Emilia. Luciano, impreziosendo il film con una colonna sonora impeccabile e indimenticabile, ha raccontato il suo mondo e, di riflesso, il nostro. Com’eravamo, cosa speravamo, cosa sognavamo, dove sbagliavamo. Ci ha fatto ragionare, non salendo in cattedra ma attraverso i discorsi da bar, i monologhi radiofonici, le liti fra amici, gli sguardi e le frasi non dette. Per questo per comprendere a fondo Radiofreccia non basta una sola visione. Va rivisto magari, sempre citare il Liga, con un sacchetto di popcorn e un bicchiere di Lambrusco a portata di mano.

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Pubblicato da Paolo Roversi

Scrittore, giornalista, sceneggiatore e organizzatore di festival crime. Grande appassionato di tecnologia. Tutto in ordine sparso. Bio completa qui