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Tredici momenti in cui non riceverete mai udienza da chi lavora in editoria

Chi ha un minimo di esperienza in questo settore lo sa: l‘editoria ha i suoi tempi, i suoi ritmi e i suoi momenti di blackout in cui sulla porta si attacca il classico cartello DO NOT DISTURB.

Non disturbare Dovete sapere che ci sono dei periodi (perché abbracciano sempre più giorni), nell’arco di un anno, in cui – a meno che non siate i Dan Brown o gli Alessandro Baricco della situazione – non riceverete udienza né dal vostro (grande) editore né dal vostro agente.
Si tratta di alcuni appuntamenti fondamentali per chi lavora in editoria dove si vende, si compra o, semplicemente (anzi sopratutto), si fanno pubbliche relazioni (e ci si sbronza anche)…
Quando succede? Ecco qui una lista essenziale.

tredici momenti in cui è inutile chiedere udienza a chi lavora in editoria

  1. La fiera del libro di Londra (che è cominciata oggi e finirà giovedì quindi fino alla settimana prossima non se ne parla di chiamare perché dopo devono fare i follow-up)
  2. La fiera del libro di Francoforte (la famosissima Buchmesse)
  3. Il salone del libro di Torino (“Se passi allo stand ci incrociamo, oppure alla festa di Minimum Fax…”)
  4. I giorni dei canvas (vale sopratutto per gli editori, cioè quando presentano i libri alla forza vendita)
  5. Bologna children’s book fair (non importa se non trattano libri per ragazzi, un salto ce lo devono comunque fare per vedere “che aria tira”)
  6. Natale-Capodanno-Befana (“Ci aggiorniamo dopo le feste, ok? Auguri!”)
  7. Pasqua (come sopra)
  8. Agosto (come sopra, con l’aggiunta di “Tu intanto che sei in vacanza comunque scrivi, mi raccomando!”)
  9. Premio Strega (partendo da circa un mese prima fino a tre giorni dopo perché si devono riprendere)
  10. Premio Bancarella (come sopra)
  11. Festivaletteratura  (“Magari ci vediamo a Mantova, ok?”)
  12. Pordenonelegge ( “Magari ci vediamo a Pordenone, ok?”)
  13. Bookcity (“Magari ci vediamo a Milano, ok?”)

    IN CONCLUSIONE

    Date retta: quando avete l’occasione di parlare faccia a faccia con il vostro editore o il vostro agente non sprecatela perché quella è un’opportunità che raramente vi si ripresenterà in tempi brevi…

Le librerie indipendenti chiudono e noi andiamo troppo veloci

Una quindicina di anni fa, prima d’iniziare a scrivere, facevo il libraio.
Un lavoro meraviglioso che, purtroppo, sta sparendo.
Sono di questi giorni le notizie di nuove librerie indipendenti che chiudono qui a Milano.
Dopo la Libreria del Corso in corso San Gottardo, la Libreria del Corso in corso Buenos Aires entro fine aprile toccherà alla Libreria Puccini abbassare le saracinesche. Tre luoghi che ho frequentato e amato. Librerie dove ho presentato i miei romanzi, incontrato lettori, discusso con i librai…

Firmacopie alla libreria Puccini
Firmacopie alla libreria Puccini

Perché chiudono?

Le ragioni di queste chiusure sono diverse e non facilmente riassumibili. Diciamo che le librerie di catena, le librerie online, gli ebook e gli smartphone che tolgono tempo alla lettura sono le principali ragioni di questo allontanamento del pubblico dalle librerie indipendenti.Adesso o mai più

Ma non sarà che siamo cambiati anche noi?

Voglio dire, quando facevo il libraio io, nella Bassa in un piccolo centro, Suzzara, chi entrava in libreria e ti chiedeva un certo libro sapeva che, a meno che non si trattasse del bestseller del momento, quasi sempre avrebbe dovuto attendere qualche giorno, magari anche una settimana, per poterlo avere fra le mani. C’era il gusto dell’attesa. Si pregustava con pazienza il momento in cui il romanzo desiderato sarebbe arrivato e avremmo potuto leggerlo.
Oggi no: adesso viviamo nell’epoca del tutto e subito. Se non lo troviamo adesso in libreria allora possiamo ordinarlo online (ai miei tempi Amazon non esisteva) o magari scaricarlo direttamente in ebook ed averlo in pochi secondi.Narcos netflix

Il piacere del piacere che dovrebbe essere esso stesso piacere ormai non c’è più

L’attesa del piacere è diventata un concetto obsoleto, superato.
Oggi viviamo nell’epoca dell’iperconnettività, delle serie televisive che grazie a Netflix arrivano complete: dieci episodi da consumare come fossero un unico film, magari chiudendosi in casa per l’intero weekend (a me è successo con Narcos). Se è così che tempo e spazio resta per la lettura?Viaggiare e leggere

Viaggiare leggendo

Se nei viaggi in treno, in aereo, in metrò non ci portiamo più un libro ma giochiamo col tablet o passiamo il tempo su Facebook o sui vari social, che tempo ci resta per leggere?
Forse la colpa delle librerie che chiudono è anche nostra che abbiamo perso il gusto dell’attesa, il piacere della lentezza.
Non sappiamo più che sapore abbia la lettura perché tutto deve essere immediato, veloce, subitaneo e forse non abbiamo più tempo di gustarci nulla ma solo la brama di assaggiare tutto in fretta senza soddisfazione alcuna.

 

Scrivere significa soprattutto riscrivere (anche parecchie volte)

L’essenza della scrittura è la riscrittura, vale a dire il continuare a mettere mano al proprio testo (lungo o corto che sia) finché si è conviti di averlo reso perfetto.
Come sapete, spesso mentre scrivo twitto (pessima abitudine lo so ma mi aiuta a distrarmi un attimo).
In questi giorni (e fino alla fine del mese quando incombe la deadline, ovvero la data di consegna), sono alle prese con il capitolo finale del nuovo romanzo (se volete qui c’è spiegato tutto quello che dovete su sapere come si chiude degnamente un libro giallo) e, forse rapito dal sacro fuoco della creatività, mi sono lanciato in alcune considerazioni che riguardano lo scrivere. Per ora si tratta di semplici appunti poi magari gli darò una qualche forma, forse in ebook, chissà.
Un paio di giorni fa ho scritto un tweet (che è stato parecchio commentato e condiviso anche su facebook). Eccolo:

Scrivere significa soprattutto riscrivere. E poi di nuovo. E poi ancora. Quelli a cui basta una singola stesura non fanno questo mestiere.
Scrivere significa riscrivere

Scrivere = riscrivere

La cosa non dovrebbe stupire nessuno. Almeno gli scrittori veri, rodati, quelli che fanno questo mestiere con serietà.
Scrivere (per pubblicare, se tenete un diario segreto state pure sereni…), dunque, significa soprattutto riscrivere. Fino allo sfinimento.
Mi capita, a volte, di arrivare quasi a odiare il testo dopo l’ennesima revisione.
A quel punto lo lascio riposare e quando lo riprendo in mano (dopo giorni o anche settimane) capisco che ho fatto bene, che era giusto così. Necessario.

Ripartire da zero?

Qualcuno mi ha chiesto ma riscrivere significa rimaneggiare la prima stesura o ripartire da zero?
Dipende. Sicuramente la prima stesura avrà parti già buone ma molte da buttare e rivedere. Quindi non proprio da zero ma diciamo almeno il 50% anche se questo dipende da autore a autore. Da quanto uno è critico (se lo siete non può farvi che bene!) con sé stesso quando scrive.
Molti sono convinti di aver la scienza infusa e credono che ogni loro frase sia perfetta così come l’hanno scritta la prima volta di getto…

Questione di metodo

Tutti hanno il proprio metodo.
C’è chi attende spasmodicamente il parere dell’editor (e magari gli sbologna pure gran parte del lavoro di riscrittura);
Chi vuole consegnare un lavoro perfetto;
Chi lo fa leggere a qualcuno di fiducia, ne ascolta i commenti e poi rimette mano al testo;
Insomma: non esiste un sistema infallibile e uguale per tutti.

Io come faccio

Per quanto mi riguarda io sono maniacale: la stesura che consegno all’editore e quanto più vicina possibile a quella che andrà in libreria.
Ed è per questo che riscrivo tutto un sacco di volte.

Il capitolo finale di un romanzo: il momento in cui la nebbia si dirada

Sono alle ultime battute del nuovo romanzo che, dopo tanti anni di assenza, vedrà come protagonista Enrico Radeschi. Non voglio però parlare di questo adesso (avrò modo e tempo per farlo diffusamente più avanti) ma di quanto sia importante il finale di un romanzo giallo.
poirotE non mi riferisco soltanto alle ultime righe (cruciali proprio come le prime della prima pagina) ma dell’ultimo capitolo nella sua interezza.
Nei romanzi gialli (il mio sarà un thriller ma insomma il discorso non cambia di molto) il capitolo finale è quello in cui si tirano le fila.
Quello in cui, per intenderci, Hercule Poirot nei romanzi di Agatha Christie faceva lo “spiegone” lasciandoci (quasi sempre) a bocca aperta.
Oggi mi piace pensare che l’ultimo capitolo sia il momento in cui la nebbia si dirada all’improvviso e tutto appare chiaro agli occhi del lettore.
Molte volte ragiono per assunti e mentre scrivo spesso posto dei tweet (pessima abitudine perché bisognerebbe estraniarsi tipo sotto una campana di vetro). Ieri mentre ero (e sono ancora chissà per quanto ahimè) alle prese con l’ultimo capitolo ho postato questo:

Il capitolo finale è sempre il più difficile da scrivere. Dopo aver disseminato indizi pagina dopo pagina ora è il momento della quadratura

Siccome in molti hanno commentato, ritwittato e così via ho deciso di spiegare un po’ meglio il mio pensiero: in quell’ultimo gradino c’è la fatica vera.
Perché? Perché tutto deve tornare.
Hai scritto capitoli e capitoli di trama ricchi di personaggi, di eventi e (si spera) di colpi di scena. Ora, però, è arrivato il momento di tirare i remi in barca e di concludere, d’inserire l’ultimo tassello del puzzle in modo che tutto il disegno appaia finalmente chiaro.
Ne sei in grado?
Non ti sei complicato troppo la vita con tutti quei voli pindarici e quelle alzate d’ingegno che ti parevano “così buone e originali” quando le hai scritte?
Ecco io sono a questo punto. Per affrontarlo al meglio ho deciso di rileggere tutto quello che sta prima e poi di scrivere (o riscrivere) il finale.
Sempre lottando con i sensi di colpa. Sì, perché solo per il fatto, ad esempio, che sto scrivendo queste righe mi sento in colpa perché non mi sto dedicando interamente, anima e corpo, alla stesura del romanzo. Scrivo sul blog quando, invece, dovrei rifinirlo, aggiustarlo, migliorarlo fino all’impossibile ricerca della perfezione. Di questo, però, ne parlerò nel prossimo post (sempre che il senso di colpa non me lo impedisca).