C’è in giro un serial killer di sindaci o è in atto un complesso complotto politico a livello europeo? Il cronista di nera Radeschi – come sempre – si trova invischiato nelle indagini. Ma stavolta è un’indagine che scotta davvero, e il giornalista rischia di rimanere bruciato…
Terzo capitolo della saga ‘gialla’ dedicata a Enrico Radeschi e Loris Sebastiani. Stavolta come ambientazione della vicenda a Milano si affianca una Parigi in ebollizione, quella delle banlieue e dei centri sociali. E parallela alla pista che si snoda nell’ambiente antagonista europeo ce n’è un’altra che corre su internet, sulla versione hardcore del famoso YouTube per essere precisi, e addirittura una terza che scava nella famiglia del sindaco ‘eretico’ di una Milano che l’autore riempie di riferimenti all’attualità politica e sociale. Tanta roba, ma nessun pericolo di indigestione, perché il cuoco non ha esagerato con i condimenti e con le spezie, e si è tenuto sul light spinto, per fortuna. Forse solo Paolo Roversi infatti – tra tutti i ‘giovin scrittori’ che affollano la scena letteraria italiana – è così capace di mantenere la leggerezza mentre parla di orrendi delitti o torridi rapporti sessuali (un handjob a la punkabbestia, un amplesso gay in sauna e un ammanettamento al letto finito male vi bastano?): merito del suo approccio disincantato e della sua prosa frizzante, senza orpelli e soprattutto senza ombre. Rinunciare in partenza ai chiaroscuri esistenziali magari gli fa correre il pericolo di togliere profondità e charme ai personaggi, ma garantisce ‘good vibrations’ al lettore, che si adatta ben presto e ben volentieri al ritmo pop della scrittura di Roversi, scandito anche da una vera e propria playlist che accompagna come una ‘colonna sonora consigliata’ la narrazione.
Tratto dalla recensioni scritta da David Frati su Mangialibri dove compare anche una mia intervista di cui vi propongo una battuta qui di seguito.
Anche quando descrivi le situazioni più drammatiche e violente, il tuo lettore ha sempre l’impressione di un sorriso nascosto, di uno sguardo ironico, di leggerezza insomma. Come mai questa scelta?
La mia è letteratura d’intrattenimento. Non voglio far venire ai miei lettori il patema d’animo, piuttosto li voglio far divertire, sorridere. Riflettere anche, ma mai angosciarli. Il mio metro stilistico ormai è questo: raccontare storie con leggerezza cercando di non scadere mai nella banalità o nella superficialità.