C’è sempre un caffè in cui chiudersi a scrivere a Parigi. Hemingway credo l’abbia fatto dappertutto (sempre con un bicchiere pieno sul tavolo) e non solo al Deux Magots.
Anche il protagonista di quattro miei romanzi, Enrico Radeschi, una volta ha trascorso un’avventura nella capitale francese, rischiando pure di farsi ammazzare.
E pensare che c’era arrivato con le migliori intenzioni…
In testa solo quell’odore. Inconfondibile. Tutta la vecchia struttura ne era pervasa: le volte tonde, le piastrelle bianche, il cemento grezzo dei muri, il pavimento nero tempestato di biglietti azzurri. La metropolitana di Parigi è un dedalo infinito di tunnel e gallerie, un moloch di duecento chilometri. Di quei cunicoli interrati, a Radeschi, colpiva soprattutto l’odore. Una via di mezzo tra il lievito di birra e l’umido che sale dall’asfalto dopo la pioggia: l’alito caldo della terra. da Niente baci alla francese (Mursia)
Mi sa che ci faccio un salto anch’io a Parigi per vedere se trovo un angolo dove mettermi a scrivere. Tipo subito.