Stasera torno nella Bassa per la tradizionale cena in famiglia. Potrei raccontare questo rito in tanti modi. Quest’anno mi cito addosso riportando qui sotto un passaggio del mio Mantovani – I nipoti di Virgilio (Sonda, 2003) in cui descrivo questa tradizione. A proposito: buon natale!
“Per gli oriundi non ci sono santi: le uniche tradizioni vere ed autentiche sono soltanto le loro. Gli altri, avranno sì degli usi e costumi particolari ma mai veramente radicati e condivisi come i loro. Di cibo, poi, non ne vogliono nemmeno sentir parlare: vuoi mettere un bel piatto di tortelli di zucca con dei rachitici pizzoccheri?
Un esempio emblematico dell’attaccamento a tradizione e cucina si verifica durante un momento magico dell’anno: il 24 dicembre, la vigilia di Natale.
Fuori freddo, nebbia e forse neve. Dentro la cena della vigilia di Natale con parenti e serpenti tutti alla stessa mensa. In questa occasione la tradizione popolare custodita e difesa strenuamente da ogni slancio innovativo dalla rasdùra di casa, impone un menù ben preciso: tortelli di zucca (e ti pareva?) e anguilla marinata. Siccome da tempo immemore alla cena della vigilia i tuoi bisnonni, i tuoi nonni, i nonni dei tuoi nonni, il figlio del postino e la sorella del pasticcere se li sono trovati nel piatto, è impensabile che per te si faccia eccezione. La regola ferrea, indissolubile, indiscutibile ma sopratutto insindacabile è che non si può mangiare nient’altro all’infuori dei due piatti canonici stabiliti dalla tradizione.
«E ch’an sàn parla pö!»(«E non parliamone più!») ammonisce stizzita la rasdùra.
Immaginate in quale situazione si trovi chi non ama uno delle due pietanze o, peggio ancora, il malcapitato che detesti fieramente entrambe le specialità… Quando c’è in ballo la tradizione il cuore della rasdùra non si muove a pietà e, di conseguenza, andrà a finire che il caro parente semplicemente salterà la cena.
E dove mangerà il povero diavolo la notte di Natale? Certo la divina provvidenza deve averci messo del suo perché accanto a una dura tradizione religiosa-culinaria ne ha affiancata un’altra più pagana che sembra fatta apposta per compensare anche i più famelici nemici del marinato. Ecco allora che poche ore dopo la cena con i parenti il nostro, imbacuccato fino all’inverosimile per combattere la notte polare, s’incamminerà ramingo verso una casa silenziosa e, sino a quel momento, vuota. Ben presto qui verrà raggiunto da un crocchio di amici con i quali darà vita alla tradizionalissima partita a carte della notte di Natale.
In realtà quella della partita a soldi, come viene comunemente definita, è una scusa per liberarsi dei parenti che da qualche giorno spuntano ovunque come funghi, per starsene un poco in pace.
La partita è riservata esclusivamente agli uomini perché (anche in questo caso è la tradizione che lo impone) le donne devono andare alla messa di mezzanotte.
Nelle ore successive in quella bisca fumosa e poco illuminata il nostro, circondato dagli amici più cari, berrà fiumi di birra e spumante, trangugerà quantità industriali di pandoro e panettone e, forse a causa della cattiva digestione, perderà un sacco di quattrini fino alle prime luci dell’alba.”