Nervetti. Prima di trasferirsi a Milano, ormai dieci anni prima, Enrico Radeschi non aveva nemmeno idea che si potessero mangiare. Ora, con trentacinque gradi esterni, nonostante fossero le nove di sera, era già al terzo piatto. Andava apposta all’osteria della Madonnina, sui Navigli, dove già dal nome si capiva quali fossero le specialità della casa. E quello era solo un antipasto, avrebbe continuato, infatti, con la cotoletta di vitello con l’osso, la milanese appunto, e si sarebbe portato a casa l’osso, il suo, e un’altra mezza dozzina che il padrone del locale gli teneva da parte per Buk, il suo labrador dagli occhi quasi umani, che lo attendeva nella casa di ringhiera di via Venini. Un bilocale tutto parquet, senza spigoli né lampadari, il cui unico ornamento era un ficus beniamino alto quasi due metri e sempre mezzo morto di sete.
Il problema fu che quella sera Radeschi non poté spingersi oltre l’antipasto…
Il resto potrete leggerlo a giugno quando all’interno di un’antologia verrà pubblicato un racconto inedito con protagonista Enrico Radeschi