Paolo Roversi vince la quarta edizione del Premio Camaiore di Letteratura Gialla

PAOLO ROVERSI con il romanzo noir “La mano sinistra del diavolo” (Mursia) vince la quarta edizione del Premio Camaiore di Letteratura Gialla organizzato dalla Fondazione Città di Camaiore. Durante la serata svoltasi al Teatro dell’Olivo di Camaiore la giuria popolare ha assegnato a Roversi 18 voti contro gli 8 andati a Katia Ferri per “La promessa” (Zonza) e i 4 a Marcello Fois per “Memoria del vuoto” (Einaudi).
La serata di premiazione, condotta da Claudio Sottili, ha visto la partecipazione dello scrittore Giampaolo Simi.
I tre finalisti – Katia Ferri, Marcello Fois e Paolo Roversi – sono stati protagonisti di un avvincente confronto sui temi dei loro romanzi incalzati dalle domande di Simi. Prima del verdetto della giuria popolare si è esibita la Camaiore Big Band diretta dal maestro Franco Meniconi.
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L’ammirazione di Charles Bukowski per Ernest Hemingway

Charles Bukowski aveva una sincera ammirazione per Ernest Hemingway di cui parla spesso nei suoi racconti.
Qui di seguito alcuni stralci.

Charles Bukowski
Cos’ha che fare questo, con qualsiasi altra cosa? pensai. cosa importa? la gente bada a fare le mosse che non contano.quando fai una mossa, tutto dovrebbe essere matematicamente previsto. questo è quanto Hemingway imparò dalle corride e mise in opera nelle sue opere. questo è quanto io imparo all’ippodromo e metto in pratica nella vita. il buon vecchio Hem e il vecchio Buk.
“pronto, Hem? sono Buk.”
“oh Buk, mi fa piacere sentirti.”
“pensavo di venire lì da te a bere un goccio.”
“oh volentieri, ragazzo, ma vedi, mio dio, insomma non sono in città per adesso, diciamo.”
“ma perché l’hai fatto, Ernie?” “hai letto quello che hanno scritto, no? dicono ch’ero fissato, che mi immaginavo le cose. dentro e fuori dal manicomio. dicono che mi figuravo che il telefono era sotto controllo, che la CIA mi pedinava, che mi spiavano. sai, non che facessi politica, ma ho sempre avuto rapporti con la sinistra. la guerra in Spagna e merdate del genere.”
“si, la maggior parte di voi letterati pendete a sinistra. sarà romantico, ma può trasformarsi in una trappola.”
“lo so. ma sul serio, avevo un mal di testa infernale, e sapevo di non essere più quello di una volta. e quando hanno preso sul serio Il vecchio e il mare, ho capito che il mondo era marcio.”
“lo so. tornasti al tuo stile d’un tempo. ma adesso non era più vero.”
“lo so, non era vero. poi son venuti il premio, gli incubi, la vecchiaia. e dai a bere come un rimbambito, e a raccontare storie a chiunque capitasse. dovevo farmi saltare le cervella.”
“okay, Ernie, ci vediamo.”
“si, senz’altro, Buk, senz’altro.”
riagganciò.
(…)
sicché eccomi là per la strada, Charles Bukowski, amico di Hemingway. Ernie, non ho mai letto Morte nel pomeriggio. dove me ne procuro una copia?

dal racconto Pazzia notturna per le strade
in STORIE DI ORDINARIA FOLLIA, Feltrinelli 1996

hemingway pugile

Lessi un libro al giorno. Lessi tutto il D.H. Lawrence che c’era in quella biblioteca. La mia bibliotecaria cominciò a guardarmi in modo strano, quando arrivavo col mio tesserino.
« Come va oggi? », mi chiedeva.
Una frase gentile. Mi faceva sentir meglio. Come se fossi andato a letto con lei. Lessi tutti i libri di D.H. Lawrence. E mi portarono ad altri libri. A quelli di H.D., la poetessa. A quelli di Huxley, l’amico di Lawrence. Li leggevo uno dopo l’altro, difilato. Uno tirava l’altro. Attaccai Dos Passos. Non era eccezionale, ma buono, abbastanza buono. Mi ci volle più di un giorno per leggere la sua trilogia sugli USA. Dreiser non era il mio genere. Sherwood Anderson sì. E poi arrivò Hemingway. Che roba! Lui sì che le sapeva metter giù, le frasi. Era una delizia. Le sue parole non erano noiose, le sue parole ti facevano ronzare il cervello. Bastava leggerle, abbandonarsi alla magia, e si poteva vivere senza dolore, pieni di speranza, non importava come.

da PANINO AL PROSCIUTTO, Sugarco

Scrivendo bisogna scivolare via. Le parole magari saranno monche e smozzicate, ma se scivolano via, allora c’è un piacere che rischiara tutto quanto. La scrittura accurata è una scrittura mortale. Credo che Sherwood Anderson sia stato fra i più bravi a giocare con le parole come fossero pietre, o pezzi di roba da mangiare. Lui DIPINGEVA le parole sulla carta. Ed erano così semplici che si sentivano flussi di luce, porte che si aprivano, pareti che luccicavano. Si vedevano tappeti, scarpe e dita. Lui aveva le parole. Delizioso. Eppure, erano anche come proiettili. Sapevano buttarti giù. Sherwood Anderson sapeva qualcosa, aveva l’istinto. Hemingway ce la metteva tutta. Nella sua scrittura si sente la fatica. Erano blocchi massicci messi insieme. Anderson sapeva ridere mentre ti diceva qualcosa di serio. Hemingway non sapeva ridere. Uno che scrive alzandosi alle sei del mattino non può avere alcun senso dell’umorismo. Vuole sconfiggere qualche cosa.

da Il CAPITANO È FUORI A PRANZO, Feltrinelli 2000

«Chi era il suo autore preferito?».
«Fante».
«Chi?».
«John F-a-n-t-e. Ask the Dust. Wait Until Spring, Bandini».
«Dove si trovano i suoi libri?».
«Io li ho trovati alla biblioteca comunale, in centro. Quinta e Olive, no?».
«Perché le piaceva?».
«Emozioni totali. Un uomo molto coraggioso».
«E poi?».
«Céline».
«Perché?».
«Gli hanno tirato fuori le budella e lui ha riso e ha costretto loro a ridere. Un uomo molto coraggioso».
«Lei crede al coraggio?».
«Mi piace vederlo dappertutto, negli animali, negli uccelli, nei rettili, negli esseri umani».
«Perché?».
«Perché? Mi fa star bene. E’ una questione di stile, che è l’unica cosa che ci resta».
«Hemingway?».
«No».
«Perché?».
«Troppo cupo, troppo serio. Un bravo scrittore, belle frasi. Ma per lui la vita era sempre guerra totale. Non si lasciava mai andare, non ballava mai».

da DONNE, Teadue 1998